mercoledì 9 settembre 2009

brani tratti dagli scritti intorno al film

(…) Proprio di fronte alla pericolosissima minaccia antidemocratica della criminalità organizzata di stampo mafioso occorre ribadire l’importanza della gestione democratica delle istituzioni. In modo non solo formale, ma sostanziale. Ha ragione la direttrice del carcere quando sottolinea la priorità della sicurezza. Ma questa riguarda, forse, innanzitutto la certezza della pena, sulla quale molto sarebbe da dire. Una volta reclusi i condannati, la società – e chi è demandato per amministrarla – ha il dovere di garantire, sempre nei termini della legge, i diritti anche per coloro che hanno mostrato di non rispettarli affatto quando erano diritti di altri.

Renate Siebert, sociologa dell’Università della Calabria

(…) Guardare il video, Nella Casa di Borgo San Nicola, di Caterina Gerardi, ascoltare le donne incarcerate lì ha suscitato in me sentimenti contrastanti, momenti di scoraggiamento e di rabbia. Sono ormai passati oltre sette anni da quando ho lasciato il carcere di Rebibbia, e la sua sezione di massima sicurezza, e udire le donne descrivere le loro condizioni è capire che negli anni trascorsi i problemi fondamentali non sono cambiati. È forte la sensazione di stasi, della quasi impossibilità di modificare le condizioni quotidiane, di identificare percorsi di riabilitazione innovativi e realisti. Come le donne del video anch’io sono stata incarcerata in sezioni di massima sicurezza sia negli Stati Uniti sia in Italia; sono luoghi che ospitano coloro che il sistema giudiziario considera pericolose, irriducibili, politicamente motivate o, semplicemente, facinorose. Luoghi che sono organizzati secondo principi precisi: isolamento dal resto della popolazione carceraria, supervisione della sezione da parte di reparti speciali della polizia carceraria un elevato numero di poliziotte per detenuta orari quotidiani precisamente organizzati con periodi prolungati passati dentro la cella, accesso limitato alle attività sociali e culturali che coinvolgono le altre sezioni del carcere. A questi si deve aggiungere i provvedimenti e i regolamenti che vengono attuati a discrezione di ogni direttore. (…)
(…) Solo le detenute, con la solidarietà di coloro che le appoggiano, possono cambiare questo atteggiamento, e lo devono fare acquistando consapevolezza del loro essere donne, oltre che madri e spose. Perché il carcere non è un parcheggio dove si vive la ‘morte civile’, come mi ha detto un giorno un’altra detenuta, ma un luogo di resistenza, dolore, crescita e cambiamento che sta a noi rinchiuse lì utilizzare.

Silvia Baraldini, ex detenuta politica negli Stati Uniti


(…) Entrare in un carcere ,sia pure da esterni, è qualcosa che segna profondamente e che mette a contatto con una realtà difficilmente immaginabile da chi non ne abbia mai varcato l’ingresso: superare cancelli,attraversare corridoi sui quali si affacciano porte sempre sbarrate, osservare il cielo attraverso le sbarre delle finestre, non poter attraversare uno spazio o scattare una foto senza aver chiesto prima l’autorizzazione,essere perquisite o controllate,chiudere a chiave in un armadietto il telefono,la borsa gli oggetti personali che ormai fanno parte di noi e dei nostri gesti più normali,aver bisogno di un’autorizzazione scritta per far entrare nel carcere libri, dolci, piccoli innocui elementi della vita quotidiana come degli innocenti fermagli per i capelli da regalare alle ragazze così prive di tutto. Attesa è una parola chiave in quel contesto: le donne che abbiamo incontrato vivono aspettando: aspettano la posta, il giorno del colloquio, il momento della doccia, il momento dell’aria, la data del processo,il giorno della telefonata, il momento in cui la loro vita potrà ricominciare.(…)

Sandra del Bene, psicoterapeuta


(…) Il film di Caterina Gerardi ha, tra gli altri, il pregio di mostrare uno spaccato del tutto originale sulla situazione delle carceri al femminile: le detenute intervistate sono tutte italiane e sono recluse in una sezione di Alta Sicurezza, accusate di essere coinvolte in associazioni criminose insieme ai loro congiunti di sesso maschile, mariti, fratelli, conviventi. Scontano la pena in una struttura speciale con regolamenti speciali, non hanno nessuna possibilità di accedere alle misure alternative, niente permessi, niente affidamento in prova né semilibertà. Tuttavia le loro parole, la situazione che descrivono, i disagi e la latitanza di molti diritti, sono condizioni comuni a tutte le donne recluse. (…)

Paola Bonatelli, Associazione
Antigone


(…) Nei giorni di carcere "subito"
per capire le ragioni
e conoscere le loro versioni,
ho ascoltato in silenzio il loro dire,
le loro risate esagerate, le loro storie allucinanti
ed ho amato e odiato gli uccelli,
a cui invidiavo le ali, la libertà.
Loro non potevano volare
nè forse più amare qualcuno.

Rosamaria Francavilla, operatrice culturale


(…) Non è solo una testimonianza di vite “nella Casa del Borgo di San Nicola”, il film vuole essere ed è di più. Prende su di sé il carico di essere per le detenute un tempo di introspezione e di intelligenza delle personali vicende e si accredita progressivamente una fiducia fino a essere percepito come sostegno in un percorso che porta le donne che hanno aderito al film, da una voce intima a una voce sempre più esplicita nel guardarsi, nel giudicarsi, per poi guardare e giudicare il carcere, con una molteplicità di sfacettature, punti di vista, atteggiamenti che testimoniano della verità del film.(…)
(…). Un cambio di posizione, che la Baraldini, presente nel film, indica come una via di maturazione per chi fa l’esperienza del carcere: non farsi raccontare ma trovare la voce per dirsi e diventare da soggetti passivi ad attori di trasformazioni. (…)

Carla Vestroni, esperta di cinema italiano e inglese





Nessun commento: