domenica 13 febbraio 2011

E' morta Franca Salerno







Come dirti addio, splendida guerriera dagli occhi blu?

Mi hai detto di andare ed io l'ho fatto ed ora un oceano ci ha divise, ci divide ancora.
Ma mi hai detto di farlo perchè l'oceano non era poi così grande. Ed io ti ho creduto. E l'ho fatto.
Anche se in fondo tutte e due sapevamo che era un addio, anche se abbiamo pianto entrambe, anche se è stato difficilissimo separarci.

Resta il rumore delle risate, la potenza del tuo ascolto, la forza dei tuoi consigli, il confronto politico e personale, la comprensione in uno sguardo, la fragranza del tuo modo di essere nel mondo. L'amore che mi hai dato e che mi hai permesso di darti. Quest'affinità elettiva che ci ha fatto incontrare, stringere, toccare. Sei dentro di me.

Evasa. Libera.

E' così che ti ricorderò. Così ti sei raccontata e data a me in questi anni. Così voglio raccontarti a chi non ti conosceva. Perchè non si perda neanche una goccia di quello che eri, perchè la memoria la dobbiamo scrivere noi, perchè tu lo avresti voluto. A chi ti ha conosciuto molto più di me chiedo invece scusa per la mia arroganza nel volerti narrare, ma come avresti fatto tu, come avresti voluto tu, sorridendo vi dico che non me ne frega niente dei giudizi.
Questa è la mia Franca. Questo è il mio racconto, il puzzle, i pezzi di lei che mi ha regalato in mille momenti condivisi, vissuti, respirati. Quello che abbiamo costruito insieme, il nostro rapporto, invece, lo tengo per me, perchè non ci sono le parole giuste per descriverlo e perchè è solo mio e suo.

“Evasa. Libera.“

L'evasione è una fuga, è un'andare via, una sparizione, un allontanamento da ciò che opprime. Ma è anche beffa. E' lasciare un vuoto polemico, una domanda per chi rimane: ma come ha fatto?
Evasione è dunque anche restare, lasciare una presenza, una scia ribelle. Tracce.

Evasione è una risata grassa, ai danni del potere.

Forse la tua prima evasione è stata dal collegio di suore nel quale con tua sorella Marisa vi hanno rinchiuse da piccole. Mi hai raccontato tante volte come già allora avevate rifiutato il controllo, quella disciplina vuota, morbosa e grigia, quell'irrigidimento dell'anima e del corpo.
Siete scappate. Cercavate il disordine.

Mi hai raccontato che sei stata rinchiusa in un manicomio, quando eri ragazza. Hanno cercato di rubarti la forza, la mente, i sogni, la tua insubordinazione. Ma non ci sono riusciti. Ti immagino evadere anche da lì, armata solo dei tuoi occhi blu, capaci di vedere oltre lo stato apparente delle cose, oltre il bianco di quelle pareti morte. Occhi blu profondo, capaci anche loro di evadere, lasciando solo il corpo in mano agli aguzzini mentre, ignari di te, ti facevano l'elettroschok. Blu come altri luoghi, altri mondi, blu come ormai immagino la libertà.
Sei scappata. Cercavi la vita.

E l'hai trovata nella Roma di Trastevere, quella Roma che ormai hanno cancellato. Quella delle strade, del popolo, dei quartieri, della solidarietà sociale, quella che come una pittrice mi disegnavi mentre raccontavi. Un apprendistato fatto di sesso, di droghe, di autostop, di viaggi in europa senza una meta, di libertà e di aria. Quanto dovevi essere bella, sorella mia.
Sei scappata. Cercavi la strada giusta.
E poi l'indignazione, la scoperta del senso profondo della parola oppressione, dell'orrore dello sfruttamento, dell'impossibile inganno del potere e del denaro. Imparare a dare un nome alle cose. Parole e senso trovati nei libri che ti passavano i compagni, sicuramente stregati dalla tua bellezza e dalla tua naturale capacità di essere coerente e guerriera, parole e senso trovati soprattutto negli occhi della gente, degli uomini e delle donne di vita. Incontravi la lotta. Questo incontro che più di ogni altro ha segnato tutta la tua vita. La lotta, che è stata la tua vita. Hai scelto le armi, hai scelto i NAP. Hai scelto la lotta frontale, oppure lei ha scelto te. Perchè eri fuoco, sorella mia. Nel bene e nel male, questa era la tua natura. Hanno provato a tarparti le radici, le ali. Hanno provato a imprigionarti.
Sei scappata. Evasa.

Evasa dalla stupidità del carcere e dei carcerieri, dall'arroganza dei tribunali e delle sentenze. Due piccole donne che hanno spaventato il potere, che lo hanno fatto traballare, lo hanno lasciato attonito e impotente. Tracce e solchi di memoria. Polvere di sbarre nascosta chissà dove, racconti mai finiti la cui eco si perde su un terrazzo con vista a strapiombo sul mare. Rumore di gabbiani e delle nostre risate estive.
Parole evasive.

La clandestinità, l'amore. Proiettili sparati per sbaglio in un appartamento e risate da crampi allo stomaco, mi raccontavi. Traslochi fatti di corsa, sbagli, fughe, paure, lacrime, errori. E poi ancora l'arresto, gli spari, l'omicidio a sangue freddo del tuo compagno Antonio. I tuoi racconti indimenticabili. Tiravano calci sordi sulla tua pancia, che era già piena del nostro Antonio. Partorire in carcere, imparare ad essere mamma in un recinto chiuso dal quale non ti avrebbero mai più permesso di evadere, almeno con il corpo. Ti sei tante volte descritta goffa, impacciata, spaventata con questo bambino splendido e paffuto dagli occhi blu. Mi resta nella mente l'immagine di te, il tuo cantare ninne nanne nel silenzio delle carceri di massima sicurezza.
Parole libere. Parole in fuga.

Il lato umano e vero della lotta, che era sempre il succo dei tuoi racconti. La consapevolezza della vulnerabilità, dell'essere persone fatte di carne e passione. La capacità di ridere di se stessi e degli altri. La forza di mettersi in discussione sempre, e allo stesso tempo di restare fedeli alle proprie idee, al proprio sangue e a quello degli altri, compagni e compagne. Il tuo essere donna, naturalmente militante e inevitabilmente fragile. Come tutti noi. E non avere paura di ammetterlo. Questo era il motore della tua forza infinita negli anni bui della prigionia, almeno ai miei e ai tuoi occhi. Ce lo siamo detto tante volte. Questa è la linfa della tua coerenza anche dopo, quando ho avuto il privilegio di conoscerti perchè tu me lo hai permesso. Compromettere la vita con il conflitto, farne una cosa sola, senza voltarsi indietro, senza rimpianti, senza ripensamenti. Con naturalezza, con umiltà e coraggio. Senza chiedere riconoscimenti a nessuno, senza nascondere la paura, senza mai nascondersi dietro un dito. Errori e certezze ad un unico ritmo, quello della parte giusta della barricata. Odiando il potere e rifiutando tutti i sui figli minori.
Parole tue. Parole nostre.

Alle compagne, amiche, sorelle che ti hanno amata e hanno condiviso con te la vita, l'amore e il dolore, il carcere, le evasioni e la libertà, con la stessa fottuta intensità con cui ho potuto anche se per poco farlo io, va il mio abbraccio più forte. Perchè, non me ne vogliano i compagni e gli amici, i racconti di Franca sono quasi tutti declinati al femminile. E ci sarà pure un perchè.

La tua ultima evasione sorella mia, compagna, è quella dalla vita, da un corpo che, dopo il dolore infinito per la perdita di Antonio, aveva deciso di abbandonarti, anche se tu non volevi. Ma non lasci un vuoto. Piuttosto uno spazio pieno. Di parole, di storie, di emozioni, di ricordi. Per tutte e tutti noi. Questo è solo un mozzico di quello che mi hai regalato.Come ti ho detto fino alla fine, ti porto con me ogni giorno. Mi mancherai infinitamente, ma tanto questo già lo sai...

L'evasione è uno scarboccchio indelebile nelle righe ordinate del potere e della legge.
E´ una beffa.

E allora ridiamo, compagna mia, ridiamo!
Buona fuga, Franca.

Tua nina