lunedì 13 ottobre 2008

FARE CINEMA, NEL SEGNO DELLA LIBERTA' FEMMINILE

Una riflessione critica
di Luisella Guerrieri


Il rapporto tra la libertà femminile e l’esperienza del “fare cinema” si può declinare per tutti segmenti che contribuiscono a costruire un prodotto cinematografico, documentario o corto/lungometraggio che sia. Che vanno dalla scelta del soggetto, alla realizzazione, alla produzione ed alla distribuzione, oltre che naturalmente alla “esposizione” nei festival.
Il Concorso Internazionale si è misurato con gli ultimi due. La distribuzione in circuiti indipendenti e le modalità di attribuzione dei voti per selezionare i film vincitori. In questo è stato sicuramente “facilitatore” di possibilità per tanti piccoli e grandi lavori, che hanno potuto circolare, essere visti e votati da donne diverse e di tante città. Con libertà e direi con la leggerezza derivante dalle caratteristiche di questo festival vissuto molto come scambio e festa collettiva. Qui a Lecce l’auditorium Castromediano prima e la masseria “Le Sciare” dopo, sono stati infatti teatro non solo delle proiezioni, ma di parole e momenti di incontro di tante/i che si sono ritrovati a chiacchierare di cinema e di film indipendenti. Con entusiasmo, direi, e con la gratitudine che circolava anni fa nei luoghi che ospitavano i cineforum e che ci consentivano visioni altrimenti impossibili in città come Lecce, lontana allora dai circuiti nazionali.
La libertà femminile nel “fare cinema” si misura però anche con tutti gli altri segmenti della produzione cinematografica e deve quindi e comunque confrontarsi con due fattori determinanti per gli esiti finali : il denaro ed il potere degli enti/istituzioni/case di produzione. Anche in questo caso quindi libertà femminile vuol dire esserci dove si prendono le decisioni. Garantire uno sguardo “altro” e non falsamente neutro quando è necessario cercare i mezzi finanziari per realizzare i film, quando si viene o meno selezionate, quando si cerca la visibilità per far circolare le proprie opere.
Libertà femminile, poi, a proposito del tema dei due film primo e secondo classificati presentati l’ultima sera. Difficilmente potremo scordare i volti e la storia di Maria Lai e delle ospiti della casa di Borgo S. Nicola.
Diceva il manifesto che promuoveva il festival : “ L’invito che rivolgiamo alle artiste è a cogliere la molteplicità che c'è nelle esistenze femminili, dandole valore ed ascoltandola. Che la fotografino attentamente, perchè le immagini possano raccontare dove e come questa libertà sa farsi sentire. E che fermino storie, particolari, vicende, modi di vita, interpretazioni, che altrimenti sarebbero senza testimonianza e rappresentazione.”
Più facile riconoscere la libertà nella storia di un’artista non convenzionale e intensa come Maria Lai, che ha sfidato in epoche difficili istituzioni importanti come le scuole d’arte e poi la guerra, l’isolamento di una terra come la Sardegna.
Meno facile riconoscerla attraverso le sbarre di una prigione, tra ospiti rinchiuse per non avere tradito i compagni. Eppure è all’interno di contesti come questo che non bisogna ingenerare equivoci. Se libertà femminile è consapevolezza del proprio valore, i corpi e i volti di quelle donne ne esprimevano tanta. Il rapporto con l’istituzione carceraria, come giustamente ricordava Silvia Baraldini, non può essere raccontato da chi sta fuori.
Noi donne “libere” perché senza sbarre materiali dobbiamo imparare a riconoscere altri linguaggi ed altre esperienze e, dalla posizione privilegiata che occupiamo, farci mediatrici delle storie di chi ha voce più lontana dalla quotidianità.
Anche questo è un esito del Concorso Internazionale di Cinema Indipendente delle Donne: a noi il compito di farne parola politica in grado di mantenere saldo, in questi tempi di perdita di memoria collettiva, il timone della consapevolezza del valore della differenza di genere, rintracciabile nella storia di tutte le donne.

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