lunedì 7 luglio 2008

Perchè questo lavoro...

Da tempo desideravo entrare nel Carcere di Lecce e conoscere da vicino questa Istituzione per molti di noi inquietante ed inesplorabile e, come nel mio stile di lavoro, attraverso le immagini che vi propongo, rompere un silenzio, sollevare un velo, riflettere.
Chi conosce i miei lavori fotografici sa che la mia attenzione è stata rivolta sempre alle cose “diverse”, marginali, emarginate, a ciò che è in ombra, che non si vede o che non si vuole vedere.
Riguardo alla città, già nell ’89 avevo pubblicato "Senza Cornice", un’analisi fotografica sui pornograffiti reperiti nelle masserie e case abbandonate della periferia urbana; ho raccontato, quindi, non la mia città, quella che fa spettacolo di sé, ma quella che rimane in ombra, ma che vive e respira in periferia.
Nel ’98 ho pubblicato “La Città Ultima”, l’altra città, la città dei morti, un luogo tabù per eccellenza.
Oggi, con il film “nella Casa di Borgo San Nicola”, e questa volta non da sola, ma con la psicologa Sandra del Bene e la operatrice culturale Rosamaria Francavilla, indago un altro luogo, il carcere, una città nella città, un mondo sconosciuto, invisibile e, all’interno di questo mondo, ho fatto la scelta di analizzare la reclusione femminile, ancora più invisibile per una serie di ragioni, tante e complesse.
Qui, però, voglio indicare una di queste ragioni, che a mio parere, ci aiuta a capire perché quando si parla di detenzione spesso si ignora la componente femminile, e spiega anche perché all’interno della struttura carceraria, si accentuano e si aggravano quei fenomeni di emarginazione e di discriminazione cui sono soggette le donne anche nella società esterna.
Sembra paradossale, ma la difficoltà principale sta, pensate un po’, nell’esiguo numero di donne in carcere e nella loro dispersione in tante piccole sezioni femminili ospitate all’interno di carceri maschili (63 in Italia) e in pochi istituti esclusivamente femminili (solo 5).

In Italia, il tasso di carcerazione femminile è attestato da anni tra il 4 e il 5%. Al 31 dicembre 2007, su 48.693 persone detenute, solo 2.804 erano donne.
Ora, questo dato, anziché rendere più affrontabile il problema, lo complica, in quanto le poche risorse esistenti vengono convogliate verso la massa più numerosa dei maschi, e quindi l’offerta di operatori, corsi professionali, attività trattamentali, ecc., diventa scarsissima.
Inoltre, la totale mancanza di politiche di genere che affrontino i bisogni specifici delle donne, rende la detenzione femminile ancora più tragica e devastante di quella dei maschi.
Tutto questo fa pensare che sia giunto il tempo di ricercare misure alternative alla detenzione perché, come dicono alcune intervistate “il carcere non è per le donne”, e con questa affermazione non intendono scansare le proprie responsabilità, anzi, loro riconoscono di aver commesso il reato
e che la pena va scontata, ma sono le modalità che devono cambiare.
Sul territorio nazionale
vi sono già esempi significativi di misure alternative alla detenzione.
Nell’agosto del ’96 c’è stata la trasformazione della Casa Circondariale di Empoli in Custodia “Attenuata”, per tossicodipendenti e non, dove ogni donna ha un progetto individuale che la porterà ad un vero inserimento sociale.
Nel 2006 la Provincia di Milano in accordo col Comune ha fornito una struttura per avviare un esperimento unico in Italia finora: una casa di Custodia “Attenuata”, in cui le detenute e i loro bambini piccoli possano ricreare un’atmosfera quanto più vicina alla vita quotidiana di una famiglia non costretta in carcere, che non condizioni lo sviluppo dei bambini.
Alla luce di tutto ciò, risulta molto interessante la proposta dell'Associazione Antigone (associazione che si batte per i diritti e le garanzie del sistema penale) di istituire all'interno del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria un Ufficio per le donne detenute.
L'esigenza di questo Ufficio specifico nasce, appunto, dalla constatazione della totale mancanza di politiche di genere che affrontino le questioni relative alle donne in carcere.

Per concludere, nel film si raccontano non solo le storie, bensì i percorsi istituzionali, le norme che regolano la detenzione per fornire uno spunto di
riflessione sulla pena detentiva, in primo luogo per le donne, e poi, a partire da loro, anche per gli uomini.

Nessun commento: