venerdì 9 maggio 2014


Patrizia Tellini 6 maggio alle ore 12.52


Una iniziativa a cui personalmente, anche se pur invitata, non ho potuto essere presente per il tristissimo momento che sto vivendo, ogni giorno come fosse l'ultimo per mio padre. Quello che vorrei farvi sapere è che si è parlato di 'custodia attenuata femminile' e quindi di Empoli, del 'nostro' carcere dalla sua apertura - 8 marzo 1997 - con Margherita Michelini che era la Direttrice. Ecco perché sogno una 'attenzione' vera e concreta del 'fare' per tutti coloro che in questo momento si trovano al di là di quel muro. E questo non perché i padri disoccupati di 45 anni che oggi vengono trattati come 'anziani' della nostra società, non devono avere le giuste risposte, gli aiuti e soprattutto la dignità di un lavoro, perché questo chiedono come tutti i giovani ma c'è anche questa fascia importante di età dai 40 ai 55 anni in profonda difficoltà, ma perché dopo anni di carcere è davvero molto ma molto difficile riprendere a vivere la quotidianeità e sentirsi di nuovo vivo e parte del contesto sociale. Per fare questo ci vogliono persone davvero 'grandi' nell'anima, che non giudicano, ma apprezzano e sostengono coloro che piano piano a piccoli passi, hanno ripreso in mano la propria esistenza, uscendo uscire da quel buio per rivedere, dopo tanto tempo, un raggio di sole ... come lo avessero dimenticato!

Grazie Caterina, grazie Margherita ... e a tutte le persone che si occupano della vita di queste persone




Multisala Massimo - Lecce 30 aprile 2014
presentazione e proiezione del film
Nella Casa di Borgo San Nicola di C. Gerardi

interviene Margherita Michelini direttrice del carcere Gozzini di Firenze

giovedì 1 maggio 2014


Pozzale, via Valdorme… è tornata la custodia attenuata femminile di Empoli

 di Patrizia Tellini

Multisala Massimo - Lecce 30 aprile 2014
presentazione e proiezione del film
Nella Casa di Borgo San Nicola di C. Gerardi
interviene Margherita Michelini direttrice del carcere Gozzini di Firenze

8 marzo 1997”, si comincia da quì. In un piccolo-grande Comune della provincia di Firenze, zona Pozzale via Valdorme, a Empoli, si inaugura la apertura del primo Istituto interamente femminile, in Toscana, a custodia attenuata. Diretto da Margherita Michelini per dieci anni, dopo un periodo difficile e molto critico, la Casa Circondariale femminile di Empoli è tornata ad essere come allora, a custodia attenuata grazie all’attuale Direttore Graziano Pujia che ha ben chiaro quanto sia importante attenuare la condizione di ristrettezza intramuraria, con meno ferro e sano rigore, facendo rispettare le regole, sempre con dignità umana. Sarei dovuta essere lì con tutti voi, insieme a Margherita, a Silvia, alla regista del film, Caterina, ma problemi familiari gravi che riguardano mio padre me lo hanno impedito e quando accadono queste cose è necessario ascoltare il cuore e fare delle scelte. Mi dispiace. Mi dispiace molto non esserci. Ogni invito per testimoniare, raccontare il carcere come contenitore di esseri umani, i suoi volti, i suoi grigio-scuro, le sue ombre, le sue violenze, mettendosi in gioco e riprovando quella sofferenza nel ricordare quegli anni che ti hanno portato via dalla vita reale, fuori da quei cancelli, è sempre fonte di riflessione, per tutti coloro che di carcere non sanno o che fanno finta di non sapere, che lo ritengono sempre argomento improduttivo e molto scomodo. Ed ecco perché a ragion veduta, abbiamo il dovere civico, invece, di parlare senza annoiarsi di come migliorare le nostre carceri, di come migliorarne la vita all’interno, cominciando proprio dalle persone che lo hanno vissuto e che ancora oggi lo sentono vivo sulla propria pelle. Fatta di arredi in legno, la struttura di Empoli è sempre stata davvero ‘diversa’ e stranamente ‘calda e familiare’. Ho vissuto la mia giovinezza in carcere, dieci lunghi anni, sballottata da un Istituto all’altro per un mandato di cattura da cui poi sono stata assolta dopo quasi cinque anni di custodia cautelare preventiva, mentre stavo scontando una pena definitiva di sei anni per altro reato. In carcere perché? Perché ero finita nel buio della tossicodipendenza, dello spaccio, della vita fatta di espedienti, di dolori, di pericoli, di ingiustizie e di paura. La stessa paura che provo oggi a 47 anni, diventata mamma di un bellissimo bambino di dieci anni, separata, per non dimenticare mai quello che ha rovinato la mia giovane vita. E se oggi sono Patrizia l’addetta stampa del Comune di Empoli, lo devo proprio al carcere di Empoli ed al lavoro che ho saputo cogliere dietro a quelle sbarre; ad una giornalista de Il Tirreno che si inventò la rivista ‘Ragazze Fuori’ che abbiamo pubblicato per dieci anni e che attualmente è sospeso per mancanza di fondi e dall’allora sindaco di Empoli, Vittorio Bugli che sostenne ed approvò quel progetto come una ‘scommessa’, creando nel Comune due posti di lavoro a collaborazione per detenute ed ex detenute del carcere empolese che più si erano distinte nelle scrittura della rivista. Venni ‘nominata’ e scelta; dopo aver concluso il mio residuo pena di un anno nella comunità terapeutica la ‘Buon Pastore’ a Varazze, arrivai ad Empoli per seguire quel progetto che oggi è diventato il mio lavoro quotidiano come addetta stampa del Comune di Empoli, iscritta all’Ordine dei giornalisti della Toscana dal luglio 2004, assunta dopo la stabilizzazione con regolare concorso, il primo ottobre del 2008 a tempo indeterminato. Ecco il mio riscatto. La mia vita ha ripreso forma e colori grazie ad un sindaco che ha creduto e voluto dare una opportunità e ad una città sensibile ed accogliente, anche se talvolta ho percepito giudizi della prima ora non proprio positivi, ma nessuno mi conosceva e di un delinquente non ci si fida mai, così dicono le povere menti.  Oggi mi reco dalle ospiti una volta alla settimana con l’art.17 per la pubblicazione che presenteremo entro la fine di questo anno, intitolata CODICE A SBARRE, a cura della Casa Editrice Ibiskos, dove ognuna di noi racconta chi è e che cosa è stata, pensando al futuro. Se l’art.27 della Costituzione sancisce che La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. La pena va espiata in condizioni umane e dignitose per il condannato.  Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra: la custodia attenuata di Empoli rispetta in pieno la nostra Costituzione, con la prerogativa di mettere in campo progetti individuali per il futuro di quelle donne attualmente private della propria libertà. Un carcere a misura di donna; una esperienza che ha lasciato il segno in tutte noi, anche in coloro che non ce l’hanno fatta, che ci hanno lasciato perché si sono bucate appena uscite ed il loro cuore non ha retto. Far nascere quel carcere fu una battaglia, combattuta da molti, per trasformarla da carcere maschile a femminile. Siamo state detenute fortunate. Abbiamo una famiglia, una vita diversa da quella di prima, come tutte le altre donne che si svegliano la mattina presto, senza mal di testa, per preparare il bambino per la scuola; la colazione e via a lavorare. La custodia attenuata è un ‘ponte … per’ una nuova vita; un inizio per vedere e sentire che qualcosa di diverso si può fare, senza mentire a noi stesse: questa era la forza di quel carcere ed è la forza di quel carcere oggi. Vorrei che i progetti delle custodie attenuate femminili, le Case per madri e bambini venissero incentivati, realizzati in tutti gli istituti penitenziari.  Vale davvero la pena! Grazie a tutti voi. Con cuore, Patrizia Tellini

IL FESTIVAL DEL CINEMA EUROPEO E LA CASA DELLE DONNE DI LECCE

mercoledì 30 aprile 20014 ore 21
Multisala Massimo 
Presentano il film di Caterina Gerardi
Nella Casa di Borgo San Nicola con le donne, nel carcere
con Silvia Baraldini (ex detenuta politica)
e Margherita Michelini( direttrice del carcere Gozzini di Firenze)
Multisala Massimo - Lecce 30 aprile 2014
presentazione e proiezione del film di C. Gerardi
Nella Casa di Borgo San Nicola
interventi dal posto  parla Silvia Baraldini 

di Nicoletta Salvemini

Non fermatevi ad ammirare le bellissime immagini. Non osservate solo gli sguardi persi o spavaldi, le mani nervose o operose, i colori di una vita sospesa che rivivono nei panni stesi ad asciugare e nelle tendine alle finestre. Non ascoltate solo i loro racconti che parlano di ciò che era e di ciò che è, nell’attesa di ciò che sarà. Mettetevi in ascolto anche dei rumori e dei suoni del luogo dove la libertà personale viene imprigionata. Il cigolio dei carrelli che portano il cibo, quello interminabile delle chiavi che aprono innumerevoli cancelli e porte o delle voci che riecheggiano nei corridoi e nelle celle. Suoni e rumori abilmente catturati nel luogo dove la cattura è di casa. Un luogo abitato da una popolazione femminile che ricrea come può l’ambiente domestico dal quale è stata sottratta per scontare una pena per reati connessi agli stupefacenti, reati dove il tasso di recidiva è molto alto, svelando in ciò che non solo il ritorno in carcere non ha interrotto il precedente modus operandi ma soprattutto che la pena detentiva, per queste donne, non ha svolto la funzione rieducativa voluta dalla Costituzione. Il carcere, come tutti i luoghi dove si esercita potere, ha una struttura maschile che non conosce il corpo femminile: le mestruazioni, la menopausa, la maternità vengono imprigionate. E quando la questione femminile è entrata in carcere ciò è accaduto solo per tutelare i figli piccoli della madre detenuta e non per pensare e agire un trattamento penitenziario differente per la detenuta. Anche l’ordinamento penitenziario, leggendo la storia della detenzione femminile, risente di questa parziale visione del mondo. Il soggetto intorno al quale minori e donne vengono definiti è il maschio adulto: e’ lui il soggetto imputabile per la legislazione penale. Donne e minori costituiscono l’eccezione al modello e vengono accomunati nel concetto di soggetti deboli: la debolezza dei minori è non essere adulti, quella delle donne non essere uomini. La forza di Caterina Gerardi è quella di aver oltrepassato cancelli e sbarre e di aver con coraggio rivisitato il principio di uguaglianza con quello della differenza di genere, facendoli dialogare. Rivisitare l’eguaglianza affiancando ad essa la differenza di genere ha significato per Caterina mettere in relazione l’astrattezza del principio formale con la materialita’ della situazione concreta. Ha significato interpretare la norma per dare altro senso al principio di uguaglianza che non deve funzionare rigidamente ma deve essere capace di rendere eguali nella differenza. Un’interpretazione coraggiosa, fatta nella consapevolezza che essa non è il fine da raggiungere ma uno strumento per raggiungere il fine e il fine è essere eguali tra diversi. Un’interpretazione fatta per immagini voci e suoni e che Caterina Gerardi ci consegna in uno dei suoi lavori più belli e più difficili da realizzare - Il carcere non è per le donne- e che stasera (ore 21.00 Sala 3) in collaborazione con la Casa delle Donne di Lecce, sarà ospitato nella bella e prestigiosa cornice del Festival del Cinema Europeo.

mercoledì 27 novembre 2013


IMPORTANTE DAL CARCERE FEMMINILE DELL VALLETTE 
Per le torinesi: il 4/12 queste donne faranno una battitura di protesta.
Questa lettera arriva dalla seconda sezione Nuovi Giunti femmile del carcere delle Vallete. Racconta le condizioni a cui sono costrette queste detenute e un episodio drammatico che hanno vissuto, censurato dall'amministrazione penitenziaria. Con coraggio e collettivamente propongono un momento di lotta il 4 dicembre, a cui è doveroso dare voce. E' importante diffonderla il più possibile tra gli uomini e le donne detenute in altre strutture carcerarie.
A margine della lettera viene specificato che la loro protesta non è per chiedere l'amnistia o l'indulto, ma per ottenere qualcosa di molto più vicino alle loro necessità e potenzialità di auto-organizzazione: lottare per la propria dignità e contro la quotidianità assassina che sono costrette a subire.


Stralci di una lettera dalle Vallette.
04/11/2013

(…)Mi trovo tutt’oggi ancora ai Nuovi Giunti. Sono stata trasferita il 22 luglio. Io come altre detenute, siamo al livello di non ritorno dalla quasi pazzia. In teoria nei Nuovi Giunti puoi starci massimo 15 giorni.
Dopo svariati mesi da una petizione siamo riuscite a ottenere uno sgabello per cella, poter fare l’aria a uno stesso orario, e non come pecore da pascolo, o tappa-buchi quando le altre sezioni non scendono. Questo era un disagio non da poco. Una mattina alle 9, il giorno dopo alle 11 come veniva comodo a loro e quell’ora d’aria diventava una corsa per poter essere pronte all’improvviso. Questa situazione è da sempre insostenibile. Due ore d’aria e ventidue chiuse senza la possibilità di fare un’attività ricreativa. C’è una bellissima palestra inagibile. Abbiamo ottenuto di poter usufruire della doccia dalle 9 alle 11, orario in cui devi essere già pronta per la così sospirata ora d’aria. Alle 11 passa il vitto. Bene noi al nostro ritorno dall’aria alle 12 abbiamo nei piatti qualcosa di commestibile, di cui non si capisce la fattispecie, messa a giacere per un’ora fino al nostro ritorno in cella. Prima cosa non mi sembra molto corretto e igienico che io debba avere il vitto per un’ora dentro la cella senza neppur vedere cosa mi ci si mette dentro. Io personalmente ho un piccolo aiuto dall’esterno e vado avanti da più di tre mesi a yogurt e frutta. Ma chi non ha la possibilità di fare quel minimo di spesa si fa coraggio chiude gli occhi e butta giù. Le mie compagne mangiano degli alimenti con corpi estranei all’interno!
Poi c’è il lusso della doccia dalle 13 alle 15. Alle 15 bisogna essere pronte per l’aria. Quindi in una sezione dove ora siamo 25, ma spesso si è in 50, con 2 docce funzionanti e un lavabo bisogna fare coincidere tutto. Voglio puntualizzare che nelle celle non c’è proprio la predisposizione per l’acqua calda a differenza delle docce dove c’è un termostato per la temperatura a piacimento loro. Quello che potrebbe essere un piccolo ritaglio di relax diventa una vera e propria tortura per molte, direi quasi tutte. La temperatura priva di calore rende insostenibile il nostro livello di stabilità. Io personalmente faccio comunque la doccia seppur con la speranza che non mi si geli il cervello. Ma le mie compagne sono tutte comunque di un’età sulla cinquantina anche oltre puoi capire il loro disagio e impossibilità di lavarsi dignitosamente: si prendono a secchiate a vicenda prendendo l’acqua dal lavabo della doccia che è per lo meno tiepida. Potrebbero chiamarsi problematiche sorvolabili invece queste condizioni imposte rendono la nostra permanenza e sopravvivenza insostenibili a un minimo tenore dignitoso. Ho deciso di scrivere questa parte di lettera di sfogo perché vedo crollare la stabilità delle compagne sotto ai miei occhi! E mi sto quasi sentendo impotente a poter solo tendergli la mano.

Ci sono detenute che andrebbero spostate in centri che possano aiutarle e non essere imbottite di terapia per non disturbare la quiete delle lavoranti “agenti-assistenti” con il continuo urlo straziante per il loro malessere psicologico con “invalidità al 100% neurologica”. Sono già state in diverse strutture OPG ma ora giacciono qui nei Nuovi Giunti. Io non mi permetto di chiudere la bocca a nessuno. Così per non sentire queste urla assordanti ho praticamente un  trapianto di cuffie alle orecchie.
Ho preso realmente coscienza che bisogna fare uscire al di fuori da queste mura la realtà vera, cruda delle carceri italiane. Perché lottando sole facciamo solo numero. Così da questa sera a un mese ognuna di noi farà da passaparola per fare girare la voce nelle carceri italiane. Il 4|12 alle ore 16 faremo una battitura. Nel giro di un mese credo che il passaparola sarà arrivato in tutte le carcere e chi ha la possibilità di mandarci giornalisti al di fuori di queste strutture da degrado, aiuterà a fare uscire oltre queste infinite sbarre il nostro grido di aiuto. Se una persona lotta da sola, resta solo un sogno, quando si lotta assieme la realtà cambia. Qualcuno dovrà pure darci ascolto!
Siamo ancora prive di un contatto con il mondo esterno, prive di tv che potrebbe aiutare a distogliere la mente dai nostri pensieri. La posta potrebbe essere un po’ di zucchero per i nostri cuori ma anche lì abbiamo il lusso che ci venga consegnata “dal martedì al venerdì”, forse non avendo contatti con il mondo esterno non siamo a conoscenza che le poste italiane ora lavorano solo quei giorni. Ma non credo sia così. Dopo un mese dal mio trasferimento a questo penitenziario nuova disposizione: tutta la posta deve essere registrata al computer “quando ne hanno tempo”. Altrimenti come oggi seppur lunedì la posta vista da altre detenute non c’è stata consegnata. In prima sezione hanno fatto la battitura, noi nuovi giunti all’aria ci mettiamo sul piede di guerra: minacciamo di non risalire dall’aria. Così per azzittirci la nostra dignitosa ispettrice ci viene a dire che stanno registrando la posta. A chiacchiere: niente posta. Io personalmente una raccomandata l’ho firmata dopo 9 giorni dal suo arrivo!

Non veniamo rifornite di niente: generi di prima necessità per l’igiene persona e quant’altro. Solo al nostro arrivo un rotolo di carta igienica, due piatti e due posate di plastica, uno spazzolino e un dentifricio con saponetta. Poi dopo aver dormito senza lenzuola coperte e cuscino se sei fortunato entro un paio di giorni dal tuo arrivo puoi ottenerle e poi niente più. E, mi ripeto, chi non ha un piccolo aiuto dall’esterno economico è privo di tutto. Non viene rifornito neppure dalla carta igienica. Ma per fortuna c’è la domenica di mezzo. Ci viene data gentilmente in regalo Famiglia Cristiana e molti giornali. E molte hanno trovato rimedio a scopo carta.
Scrivo terra-terra sdrammatizzando ma siamo nel tunnel degli orrori. Prendendo atto di ciò che è accaduto il 31 ottobre ora do il libero sfogo. Abbiamo sollecitato più volte le assistenti di sezione di tenere sotto osservazione una nostra compagna da giorni in uno stato confusionale e, preoccupate per questa visibile instabilità, abbiamo solo richiesto che venisse applicato il loro ruolo: controllarci. Bene se questo fosse stato fatto con i tempi giusti oggi non ci si troverebbe in questa condizione. Bene siamo scese all’aria alle 15  e al nostro ritorno dopo più di un’ora che eravamo rientrate notiamo un’allarmante via vai di assistenti nella cella di questa nostra compagna. L’hanno trovata priva di sensi con entrambe le braccia tagliate da ferite importanti tanto da procurarsi la sutura di 19 punti al braccio sinistro e 24 al quella destro. Ovviamente mentre era in infermeria viene fatto il cambio cella per essere poi piantonata. “Ovviamente”. Tutto ciò poteva essere evitato ascoltando le sue ragioni. Non volevano consegnarle la spesa della sua concellina uscita liberamente, che aveva fatto tanto di domandina per lasciare la sua spesa a lei. Domandina vista da vari assistenti e poi credo cestinata. Questa è stata la goccia che ha interrotto quel filo sottile della sua stabilità già offuscata. Anche qui sarebbe bastato ascoltare e controllare prima che succedesse l’accaduto. Malgrado piantonata, la stessa notte per la seconda volta ci è andata troppo vicina: si stava soffocando con la sua maglia, e per ritardare l’accesso alla sua cella di piantonamento ha tirato su la branda facendola incastrare nelle sbarre del blindo. Allora tiriamo fuori la realtà, la verità. Non credo che bisogna aspettare che uno sia sottoterra. Questo va ben oltre. Ieri è andata bene, se così si può dire, facciamo qualcosa. Aiutateci. Aiutiamo queste donne, figlie, madri.
Per finire in bellezza la stessa notte una compagna si sente male. Soffre di gastrite nervosa. Mi dirai che non è una patologia così allarmante, sì se solo non soffrisse di problemi cardiocircolatori. Ha già avuto un arresto cardiaco provocato da questi attacchi. Continuano a farle flebo e punture di “Contramal” per alleviare il suo dolore. Ma in sostanza con i problemi che ha aggrava solo le sue condizioni. Portandola tra le mie braccia di peso sino in infermeria è passata più di  un’ora e mezza per fare intervenire la guardia medica.
Bene. Io sono allibita da tutto ciò. Ma non smetterò di combattere per me e le mie compagne, il nostro grido di dolore è assordante ma non ci sente nessuno. La guardasigilli Cancellieri si sta muovendo per noi? Per la popolazione carceraria? Ma deve aiutare noi tutte, detenute dal degrado.
Un grido di aiuto e un affettuoso saluto le detenute seconda sezione Nuovi Giunti.

M.
Seguono le firme di 22 detenute
__________________________

domenica 27 ottobre 2013

CONTINUA IL VIAGGIO DEL FILM


 




               DIPARTIMENTO
        DEI SISTEMI GIURIDICI
     Piazza dell’Ateneo Nuovo, 1 – 20126 Milano
Tel. 02.6448.6115 – 02.6448.6380 Fax 02.6448.6410

                                                                     
                                                                                 
DIRITTO PENALE - DIRITTO PENITENZIARIO
a.a. 2013 - 2014



Giovedì 14 novembre 2013 – ore 10.30-13.30 – aula U6/6

DONNE DI MAFIA IN CARCERE




Proiezione del film Nella Casa di Borgo San Nicola con le donne, nel carcere (C. Gerardi, 2008)

ne discutiamo con:

Caterina Gerardi, regista
Anna Rosaria Piccinni, ex-direttrice del carcere di Lecce
Stefania Mussio, direttrice del carcere di Lodi
Elena Lombardi Vallauri, direttrice del carcere
 di Asti e di Alessandria


Coordinano l’incontro: Silvia Buzzelli e Claudia Pecorella
           

mercoledì 7 novembre 2012

SEMINARIO "DONNE E MAFIE"


LIBERA. ASSOCIAZIONI, NOMI E NUMERI CONTRO LE MAFIE
in collaborazione con le principali UNIVERSITA’ MILANESI

GIOVEDÌ 8 NOVEMBRE 2012 DALLE 14 ALLE 18.30
Università Bicocca, Aula U6/11, piazza dell'Ateneo Nuovo
tram 7 Arcimboldi Ateneo Nuovo, stazione FS Milano Greco Pirelli
DONNE E MAFIE
Intervengono:
Tiziana VETTOR (Università Milano – Bicocca)
Ombretta INGRASCÌ (Università Cattolica di Milano)
Monica MASSARI (Università Federico II di Napoli)
Antonella PASCULLI (Università di Bari)

Proiezione del documentario
"Nella Casa di Borgo San Nicola.  Con le donne, nel carcere" di Caterina Gerardi, 2009

La partecipazione conferisce CFU secondo le indicazioni del Consiglio di Facoltà

«Contro la corruzione una politica più forte»
Seminario interuniversitario con Ciotti, Stella e Vannucci

La tassa occulta

Draghi e Ciotti: "Mafie al nord, pericolo per democrazia"
Affollata assemblea all’Università Statale

Nuovo appuntamento con i seminari interuniversitari “MAFIE AL NORD. PER UNA CULTURA DELLA LEGALITÀ” a cura di:
LIBERA. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, Università degli Studi di Milano, Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Università degli Studi di Milano Bicocca, NABA Nuova Accademia Belle Arti,
Politecnico di Milano, IULM Libera Università di Lingue e Comunicazione



giovedì 29 marzo 2012

Le detenute di Lecce: Il nostro grido d'aiuto, che nessuno ascolta

Lecce. In una lettera inviata alla nostra redazione, chiedono ai politici azioni di perdono come l'amnistia e non decreti "svuota carceri" che verranno mai attuati
LECCE - E' un grido d'aiuto affidato alle pagine di una lettera. Parole scritte a mano, fitte fitte, con l'inchiostro blu. Arriva, la lettera, dal carcere di Lecce. A scrivere sono le detenute della sezione femminile. Chiedono amnistia; chiedono ai politici azioni concrete di aiuto, e non decreti "svuota carceri" che rischiano di restare inattuati. E se l'amnistia non è possibile, chiedono di poter scontare la propria pena con dignità. 
E poi descrivono le condizioni di vita all'interno del penitenziario. Al limite della sopportazione. Dove la norma sono le celle sovraffollate e prive d'aria e la mancanza dei servizi essenziali come l'acqua calda o la carta igienica. 

"Fate qualcosa di concreto – chiedono -, altrimenti lasciateci in pace a scontare la nostra pena, contrariamente a quanto pensano in molti, non in un comodo ‘salottino' ma solo nella nostra sofferenza".


Ecco la lettera in versione integrale. 




Carissima signora Mastrogiovanni, 
a scriverle è una detenuta della casa circondariale di Lecce. Mi chiamo Antonietta e insieme alle mie compagne, abbiamo pensato di rivolgerci a lei per dare voce ai nostri silenzi, ai nostri pensieri, a tutto ciò che vorremmo dire e che nessuno ascolta. Le chiedo per questo, se possibile, di pubblicare questa nostra lettera perché non vogliamo più tenerci tutto dentro; abbiamo bisogno ch le persone conoscano ciò che proviamo, ciò che viviamo… 
Sicuramente lo abbiamo fatto con rabbia, ma siamo stanche, troppo stanche. 
Ci tengo a ringraziarla già da ora, sperando che, almeno lei, riesca a far uscire fuori queste urla dal silenzio. 
In attesa di avere la gioia di legger il nostro scritto sul "Tacco d'Italia", le porgo i miei più sinceri saluti. 

Con tanta stima 
Antonietta. 


Dal carcere di Lecce, Borgo San Nicola meglio identificato (sezione femminile), giungono pesanti lamentele da parte delle detenute deluse dalle opinioni rese in sede parlamentare durante il voto della cosiddetta "svuota carceri"… 

Un decreto inutile, così come quello dello scorso anno, perché secondo la valutazione dei magistrati competenti, verrà scarsamente applicata. 

Siamo stanche di sentire, ormai da quasi due anni, politici, opinionisti, conduttori televisivi che elencano giornalmente, come ulteriore derisione, la nostra drammatica esistenza all'interno delle carceri. 

Basta con le umilianti immagini televisive di celle sovraffollate, quattro-cinque-sei letti a castello in spazi ristretti, pentole sparse, mestoli, scolapasta, materassi "sottiletta", freddo siberiano, acqua che no si sa da dove entra e da dove esce, cessi da campeggi posizionati di fronte alle tavole da pranzo imbandite di pane secco e frutta marcia, lavandini corrosi e docce scassate. 

Basta con le visite guidate dei politici… non siamo allo zoo! No abbiamo bisogno delle loro noccioline "svuota carceri"… siamo stanche! 

Fate qualcosa di concreto, altrimenti lasciateci in pace a scontare la nostra pena, contrariamente a quanto pensano in molti, non in un comodo "salottino" ma solo nella nostra sofferenza. 
Non siamo fenomeni da baraccone, se non volete venirci incontro, abbiate almeno la delicatezza di non offenderci, violando ripetutamente, con immagini e nomee, la nostra dignità. 
Ringraziamo Marco Pannella per il suo concreto impegno che, da sempre, lotta senza alcun pregiudizio, affiancato dal suo partito dei Radicali, per noi detenuti, mettendo continuamente a repentaglio la sua salute con i molteplici scioperi della fame. 
Basta con le parole, con le chiacchiere, con gli rvm carcerari… passate ai fatti, quelli veri e concreti però. 

L'unica vera "svuota carceri" è l'amnistia e da lì ripartire per una giustizia più equa. 
Informative bene, perché i veri criminali stanno fuori. In carcere ci sono anche persone innocenti che, dopo anni di processi e tempi burocratici, vengono assolte per non aver commesso alcun reato. Chi li ripagherà del danno subito? 
Manca solo attuare a pena di morte come in America, almeno così sono più felici i politici che non vogliono concedere nulla, più felice l'opinione pubblica colpevolista e chi vuole vederci morti in galera. 

A quanto pare… Dio perdona, voi no. 

Dite piuttosto il numero dei suicidi che avvengono giornalmente in questi luoghi, la mancanza di tutto, perfino l'aria per respirare, visto che le celle sono piene da farti andare in apnea. Mancano le cose essenziali: carta igienica, disinfettante e, qui a Lecce, persino un prete! Bisogna comprare tutto… chi se lo può permettere. E chi invece non può?Lasciamo a voi l'immaginazione. 
Questi oggetti di prima necessità dovrebbe fornirli lo Stato, ma ciò non accade per mancanza di fondi. Poi però, a fine pena, lo Stato pretende le spese di mantenimento, ma per che cosa? 

E' giusto pagare, ma con dignità ed umanità. 
Non siamo rifiuti umani da smaltire, né una discarica sociale, ma persone che hanno diritto ad una seconda possibilità. 
Se volete fare veramente qualcosa per i detenuti, fateci uscire da questo limbo infernale. Amnistia! 

Grazie 
Tutte le detenute della sezione femminile del carcere di Lecce